No a scorciatoie, la soluzione è l’equiparazione pubblico – privato. Dove è obbligatoria una qualifica, il privato sociale parla di “vocazione”
Le difficoltà nel Terzo Settore
Il Terzo settore lamenta difficoltà a reperire personale e, tra chi è già assunto, forte spinta a “migrare” verso il sistema pubblico. Parliamo principalmente di assistenza alle persone non autosufficienti e di educatori. In un’audizione in Quarta Commissione, è stato lanciato l’allarme per la tenuta di un sistema in cui “gli enti del Terzo settore si stanno trasformando in involontari formatori per la sanità e gli enti pubblici”.
Peccato che nessuno – spiega Roberta Piersanti di Fp Cgil – abbia accennato al fatto che lavorare per cooperative ed enti del Terzo settore significa fare lo stesso mestiere dei colleghi del pubblico ma con stipendi più bassi, turni impossibili, reperibilità totale.
Insomma, non vorremmo che la soluzione per il Terzo settore sia una nuova scorciatoia per perpetuare un sistema di dumping contrattuale, visto che il tema di una parificazione economica per interrompere i passaggi dal privato al pubblico non è stato neppure menzionato dai rappresentanti del privato sociale, ma dalla sola Paola Demagri del Patt.
Disuguaglianze per chi lavora nel privato
Ci sono anche altri elementi che aumentano difficoltà e disuguaglianze per chi lavora nel privato: non sono riconosciuti i tempi di viaggio, i rimborsi chilometrici sono fermi al 2002, la formazione si fa nel tempo libero, nelle case di cura si lavora su 6 giorni e con 1 solo giorno di riposo, le educatrici dei nidi – e non solo – sono sotto inquadrate.
Proporre oggi l’impiego di personale non qualificato ma “vocato per il lavoro sociale” valorizzando “attitudini e motivazioni”, oltre a rappresentare un rischio in termini di tenuta di qualità e appropriatezza dei servizi, marcherebbe un’ulteriore differenza col sistema pubblico dove i requisiti formativi – obbligatori – permarrebbero tali mentre non sarebbero più necessari per l’utenza del privato sociale, si badi bene per svolgere le stesse attività.
L’esempio degli Oad, operatori dell’assistenza domiciliare, è lampante: praticamente sono Oss ma l’Apss non riconosce loro le competenze e la formazione acquisite “sul campo” come parte del percorso formativo per Oss: quindi non potranno mai lasciare la loro attuale posizione. Non è certo questa la strada da percorrere: sicuramente il Terzo settore frenerebbe la fuga dei lavoratori e i Comuni e Comunità di valle realizzerebbero grandi risparmi, a discapito tuttavia dei servizi e delle condizioni e delle prospettive di chi opererebbe nel settore, vocato o meno che sia a svolgere quel lavoro.